Alla ricerca di qualcosa di speciale

Nei primi anni novanta Dario, un adolescente, come tanti altri, si sentiva irrequieto, percepiva la mancanza di qualcosa di indefinito… Non sapeva dire cosa volesse, visto che aveva tutto, o, perlomeno, quasi ogni cosa che desiderava. Era di buona famiglia, ceto alto borghese – oggi questa definizione è superata, ma, all’epoca, era ancora molto in voga – una vita agiata, da benestante. Il padre, primo dirigente delle Forze dell’Ordine, la mamma insegnante, come si confaceva alle donne di un certo livello, che avevano scelto di lavorare. Abitava in un grande appartamento in un complesso residenziale in zona Roma sud. Studiava, aveva il motorino e vestiva abiti firmati.

Forse gli mancava la fidanzata, visto che si era lasciato da poco dal primo grande amore. Ma, in effetti, era convinto che non fosse quello il motivo… Non sapeva dove cercare.

A fine dicembre del 1993 si trovò a casa di un amico per una notte brava, approfittando dell’assenza dei genitori. Niente di sconvolgente, una nottata divertente, trascorsa a sfidarsi ai giochi di ruolo, altra sua grande passione. Fra un tiro di dado e una carta, si fecero le sei del mattino. Erano tutti distrutti: avevano fatto fuori un enorme drago rosso in maniera epica e si gustavano il meritato riposo dei guerrieri. I cinque amici si dispersero, in ordine sparso, nella casa ridotta a un bivacco, alla ricerca del giaciglio più comodo Chi si stese nella vasca da bagno, chi accanto al gatto, tutti trovarono un posto ideale. Grazie alla sua abilità e a un pizzico di fortuna, Dario riuscì a conquistare il divano… Beato e gongolante, per la seconda impresa epica andata a buon fine, si abbandonò tra le braccia di Morfeo, ma verso le otto del mattino fu richiamato alla realtà dal rumore della porta d’ingresso che si apriva…

“Chi va là?” Azzardò, con fare intimidatorio, ancora infervorato dalla mitica avventura trascorsa.

“Sono io… Dormi, che è meglio!” Esclamò, seccato, Luca, il fratello del padrone di casa.

“Luca, ma che cazzo fai! Sono le otto del mattino! Vai a dormire invece di rompere”.

“Dormi, tanto io ora esco”.

“Esci? Ma sei scemo! Non hai riposato neanche due ore”.

“In effetti sono a pezzi, ma ho fatto una bella doccia e ora sono pronto”.

“Dove cavolo vai a quest’ora?”

“Vado a pranzo con un barbone…” Le ultime parole di Luca, prima di sparire dietro la porta.

“A pranzo con un barbone?” L’ultimo pensiero che accompagnò Dario, mentre ritornava, beatamente, fra le braccia del mitico, Morfeo.

***

Alcuni giorni dopo la grande nottata, come ogni sabato che si rispettasse, si ritrovarono a casa di Andrea, per la consueta sessione di gioco. C’erano tutti, tranne Luca.

“Andrea, ma che fine ha fatto Luca?” Chiese Dario, incuriosito.

“Che vuoi che ne sappia di quello che fa mio fratello… Si vedeva con un gruppo per una riunione, ma non so di preciso di cosa si trattasse”.

“Certo che tuo fratello ultimamente è strano”.

Dopo il breve intermezzo, il gruppo di amici tornò a giocare. Verso le 21 Luca tornò all’ovile…

Si sedette al tavolo e scelse i suoi dadi preferiti. Dario rimase a guardare incuriosito l’amico che, a parer suo, non gliela raccontava giusta. Decise di iniziare a sondare il terreno.

Chiese: “Scusa, Luca, ma quella mattina dov’è che sei andato?”

Luca, che si aspettava la domanda, perché conosceva la curiosità malsana di Dario, rispose con un sorriso sfacciato, come al solito: “A pranzo con un barbone, perché?”

Perché? Come se andare a pranzo con un barbone fosse la cosa più normale del mondo! Era chiaramente provocatorio: se Dario era curioso come un gatto, Luca era più dispettoso di una scimmia.

“Scusa, ma a te sembra normale andare a pranzo con un barbone?”

In effetti, per ragazzi alto – borghesi come loro, non era affatto scontato, anzi era assurdo. Se il padre di Dario, alto funzionario della Polizia di Stato, avesse saputo una cosa del genere, di certo non ne sarebbe stato entusiasta…

Eppure in quella affermazione così provocatoria, qualcosa lo aveva colpito.

“Ok, sacro missionario del fantasy, spiegati meglio… Perché sei andato a pranzo con un barbone?”

Luca era divertito, perché sapeva bene che Dario stava morendo di curiosità. Decise di portare avanti il gioco ancora per un po’ Alla fine, proprio poco prima che la sottile corda che tendeva si spezzasse, iniziò a raccontare la sua storia.

“Da qualche mese faccio parte di un gruppo, si chiama CSP – Città Scuola Parola -. Facciamo il dopo scuola ai bambini poveri del “Mandrione” di Spinaceto.

Dario non sapeva neanche dove si trovasse quel luogo; per lui il mondo civilizzato finiva all’inizio della Pontina.

“Ci vediamo ogni mercoledì. Per festeggiare degnamente il Natale, domenica abbiamo deciso di organizzare un pranzo con un barbone”

Dario rimase colpito. Non aveva mai preso in considerazione l’ipotesi che si potesse fare il dopo scuola ai bambini poveri, né tantomeno che si potesse pranzare con un barbone. La curiosità saliva e aveva qualcosa di simile a una ventata di aria fresca.

“Ammazza come sei diventato buono!” Rispose, sarcastico, perché non voleva dare soddisfazione a Luca. “Ma si può venire a vedere di cosa si tratta? Magari potrei scoprire che mi piace e venirci anch’io”.

“Non lo so, devo chiedere se puoi venire… Fu la gentile risposta di Luca, che non smetteva di provocare.

“Hai capito! Ma sai che c’è? M’è passata la vojja de veni’ a vede che fate co l’amici tua santi!” Rispose Dario, punto sul vivo. Il suo secondo maggior difetto, dopo la curiosità, era, infatti, la permalosità. La conversazione terminò lì e anche la partita dopo poco si concluse tragicamente; il master era di cattivo umore e fece morire tutti i personaggi in maniera sadica.

***

Un mercoledì pomeriggio Dario poltriva sulla sua poltrona preferita, cercando di far passare il tempo, quando fu svegliato dallo squillo del telefono di casa. Preso di soprassalto e con la paura di svegliare sua madre, si precipitò all’apparecchio.

“Pronto” Sibilò.

“Ciao Dario, sono Luca”.

“Luca! Ma che cazzo, chiami a quest’ora? Lo sai che mia madre riposa e si incazza se chiamano gli amici!”

” Scusa, hai ragione, ma parliamo di cose serie: sei ancora interessato a venire alla scuola popolare?”

“Alla scuola popolare? Che cavolo è?”

“Dai, il dopo scuola ai bambini poveri!”

“Ah , quella cavolata da santo, che fai con gli amici tuoi..” Rispose, acido, per non dargli soddisfazione.

“Proprio quella. Allora, ci vieni o no?”

“Non saprei… Sai, ho un sacco di cose da fare”.

“Come no. Ma se stavi a dormì come un ghiro! Guarda che te conosco…”

“Va bene, va bene! Ma almeno ci sono le ragazze?” Chiese, più per provocare, che per convinzione, anche se l’idea di conoscere nuove amiche lo solleticava.

“Che palle che sei! Voi veni’ o no?” Rispose Luca, innervosito, mentre si chiedeva perché dovesse insistere con un tale decerebrato.

“Va bene, tanto non ho nulla da fare oggi. Almeno mi passa la giornata”.

“Bravo, fattela passa’ sta giornata, e vienimi a prendere con il motorino, che andiamo insieme”.

“Sempre bravo a scrocca’ i passaggi, tu”.

***

Per Dario varcare quel confine invisibile era un po’ come per i marinai del ‘500 salpare verso l’orizzonte; era convinto che prima o poi il mondo sarebbe finito e sarebbe caduto nel vuoto. Una distanza di poco più di dieci minuti in motorino, costituiva una frattura culturale così grande da sembrare quasi invalicabile. Fu il viaggio più lungo e faticoso che Dario, ancora oggi, ricordi. Ovviamente ai genitori non disse nulla, perché, se solo avessero immaginato dove era diretto, l’avrebbero messo in punizione, pur di non lasciarlo andare. Ma la curiosità era troppa e il senso di ricerca che avvertiva da tempo, era in fermento. Prese il motorino e si recò con Luca al “Mandrione”. Dario notò subito che era molto diverso dal suo quartiere: i palazzoni di edilizia popolare erano cadenti, i prati incolti e la gente aveva uno sguardo malinconico. Entrò nel teatro di quartiere, dove si faceva scuola popolare. Una ragazza, Maria, andò verso di loro per accoglierli. Si presentò come la direttrice della scuola e raccontò, nel dettaglio, come si svolgeva il pomeriggio. L’idea che una ragazza di solo un anno più grande di lui fosse la direttrice della scuola lo stimolò molto. In un periodo in cui ragazzi venivano trattati da bambini cresciuti e viziati, a cui non si dava credito, né tantomeno responsabilità, scoprire  che una sua coetanea si assumesse grandi responsabilità lo colpì positivamente.

“Bene, ora sai più o meno come si svolge il dopo scuola. Ma la cosa più importante è che devi voler bene ai bambini. Spesso il loro vero problema è il non sentirsi amati”. Disse Maria.

“Scusa, ma non hanno i genitori?” Dario non capiva come si potesse non voler bene ai bambini.

“Sì, ma non significa che riescano a fare tutto il necessario per dar loro l’affetto necessario. Molte mamme sono prostitute e i papà vivono in prigione, in quanto spacciatori… Non è un mondo facile e i bambini vengono lasciati soli o, nei migliori dei casi, affidati alle nonne, o ad altri parenti, che non se ne prendono cura.”

Dario non aveva mai immaginato che ci potesse essere tanto dolore vicino a casa sua. I problemi esistevano, lo sapeva bene, ma li aveva sempre pensati lontani, non a portata di mano. La breve conversazione lo mise nel panico. Non si aspettava di dover affrontare esperienze così importanti, al massimo aveva pensato di fare il dopo scuola a bambini ignoranti… Maria intuì le sue resistenze, e aggiunse con dolcezza: “Non ti preoccupare, l’importante è volergli bene, il resto viene da sé…”

“Certo, volergli bene!” Ripeteva, come in un mantra, più a se stesso che a Maria. Mica era facile… Come si poteva affezionarsi a monelli sconosciuti? Si accorse del punto nodale: non aveva mai voluto veramente bene a nessuno, se non alla sua famiglia.

“Tranquillo”, continuò Maria, “vedrai, è più facile di quanto pensi!”

La giovane accompagnò Dario nella sala, dove si faceva lezione. Vi erano i tavoli con tanti bambini e altrettanti ragazzi come lui, che aiutavano a svolgere i compiti. Un bellissimo colpo d’occhio, che lo lasciò senza parole. Dopo il primo attimo di smarrimento si diressero vicino a Mariangela, che studiava con un bambino di otto anni. Il bimbo indossava occhiali enormi, smisurati, aveva capelli rasati, con un lungo ciuffo tenuto su da litri di gelatina e aveva perso da poco gli incisivi superiori. Arrivati al tavolo, Maria fece le presentazioni.

“Mariangela, questo è Dario e può studiare con voi.

Poi si rivolse al bambino: “Mi raccomando, è un mio caro amico, trattalo bene!” E gli scompigliò affettuosamente il ciuffo.

Il ragazzino guardò dal basso verso l’alto il nuovo arrivato e Dario fece altrettanto. Dopo pochi secondi di reciproca valutazione, il bambino, con un grosso sorriso, porse la piccola mano verso Dario.

“Piacere, sono Sandro Pagani”.

Un po’ titubante il giovane ricambiò il gesto; un bambino che stringeva la mano come un adulto era un evento raro, da lasciare nello sconcerto. Appena stretta quella piccola mano, Dario capì di cosa era in cerca. All’improvviso fu tutto chiaro: aveva bisogno di qualcuno di cui prendersi cura, per cui essere importante, qualcuno a cui voler veramente bene. Dario cercava responsabilità in un epoca in cui ai giovani non veniva accordata.

Da quella stretta di mano in poi, per Dario e Sandro cambiarono molte cose: fu l’inizio di un’amicizia che li portò lontano. Sandro, anche grazie anche a Dario, non solo si salvò dalla violenza in cui viveva, ma divenne un rispettabile Carabiniere, che ogni giorno, continua a compiere onestamente il suo dovere.